Le conseguenze del mito sulla storia

Questo pomeriggio, a Ca’ dei Ricchi, il ricercatore Alessandro Cinquegrani e lo storico Daniele Ceschin hanno trasportato il pubblico in un percorso attraverso l’“Italia del Piave” e riflettuto sulle vicende della Grande Guerra passando dai miti alla storia e dalla storia ai miti.

La studiosa e scrittrice Giovanna Frene ha colloquiato con i due autori, che hanno raccontato gli eventi storici della guerra alla luce di quei miti che mistificano l’effettiva verità dei fatti.

Ceschin, riferendosi al libro L’Italia del Piave: L’ultimo anno della Grande Guerra in cui ricostruisce i fatti successivi alla disfatta di Caporetto, ha parlato dei miti: essi preesistono alla storia ed esistono prima della guerra. Ha spiegato che il mito della Grande Guerra è nato alla fine dell’Ottocento in tutta Europa: gli autori dell’epoca avevano iniziato a cimentarsi nella scrittura del mito di una guerra futura, combattuta tra le grandi potenze, e per questo motivo gli Stati europei avevano iniziato a immaginarsela.

Quando scoppiò la guerra nel 1914, l’Italia voleva rimanerne fuori poiché era arrivata impreparata all’appuntamento con il mito: con l’arrivo di Mussolini, che si convertì all’interventismo più radicale nonostante l’inadeguatezza dell’esercito, la penisola entrò in guerra perché, se ne fosse rimasta fuori, sarebbe stata confinata ai margini della geopolitica europea.

L’autore ha raccontato come la classe dirigente, che aveva voluto l’ingresso in guerra, abbia capito che aver scommesso sul mito della grande guerra e sugli italiani fosse stato un errore. Ha parlato dell’impatto sulla popolazione della sconfitta di Caporetto, dell’emergenza dei profughi friulani e veneti e della disorganizzazione statale.

Infine si è concentrato sul mito della vittoria di Vittorio Veneto – città cui è stato appositamente cambiato il nome –, montato e ampliato a scopi propagandistici.

Alessandro Cinquegrani è intervenuto poi con una riflessione sul racconto simbolico di Primo Levi La bestia nel tempio, che ha ispirato la scrittura del libro del ricercatore Il sacrificio di Bess. Il racconto presenta un edificio impossibile dal punto di vista logico, che secondo la leggenda tiene racchiuso al suo interno la Bestia, allegoria del male assoluto; il giorno in cui tale Bestia dovesse riuscire a liberarsi, il mondo finirebbe. Tale edificio, il tempio nominato nel titolo, è impossibile perché, come illustra un disegno dello stesso Levi, dovrebbe essere sorretto da un colonnato in cui non si possono distinguere gli elementi portanti dai vuoti. In quest’immagine Cinquegrani vede il simbolo che racchiude perfettamente l’essenza delirante del nazismo e che quindi ricollega all’esperienza tragica di Primo Levi.

 

Testo di Anita Zavan ed Enrico Casagrande

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