Un futuro tra robot e dementi

Anno 6000 dopo l’invenzione della ruota. La tecnologia ha preso il sopravvento sulla vita quotidiana, fino a diventare una sorta di divinità. A farla da padroni sono i robot, che hanno sostituito gli uomini nella quasi totalità delle mansioni quotidiane e di governo, costringendoli a dedicarsi ad attività inutili come il collezionismo di oggetti di dubbio gusto.

Quella immaginata da Ermanno Cavazzoni ne La galassia dei dementi potrebbe essere la più classica delle distopie, se non fosse che la storia, presentata ieri sera presso la Chiesa di San Gregorio, è curiosamente ambientata in Emilia-Romagna e popolata da bizzarri protagonisti che la rendono per lunghi tratti quasi demenziale.

Noi del Blog degli studenti abbiamo avuto il piacere di intervistare lo scrittore prima della sua presentazione con Valentina Sturli.

Come mai ha deciso di ambientare il suo racconto di tema fantascientifico proprio nella Pianura Padana?

Solitamente i racconti fantascientifici si svolgono negli Stati Uniti, ma non mi sarei sentito a casa mia se lo avessi ambientato, ad esempio, a New York. Ho dunque ambientato la storia in un posto che conosco e a cui sono affezionato. E questo cambia radicalmente il modo di fare fantascienza rendendola un po’ comica, perché si perde quel senso di dover salvare l’umanità tipico della fantascienza americana.

Ogni genere ha il suo luogo tipico: il genere poliziesco, ad esempio, è nato nel mondo anglosassone con Sherlock Holmes, però scrittori italiani hanno iniziato ad ambientare gialli anche nel nostro Paese, e non c’è motivo per cui la stessa cosa non debba avvenire per altri filoni letterari.

Abbiamo notato come la maggior parte dei personaggi del suo romanzo abbia nomi che rimandano alla mitologia classica, ci spiega il motivo di questa scelta?

Perché i nomi antichi sono universali, fuori dal tempo e pieni di significato. Basta osservare le imbarcazioni che girano al largo di Venezia: il loro nome è quello degli dei dell’olimpo o rimanda alla mitologia classica. Chiamare un robot con Giovanni o Marco, ad esempio, non renderebbe assolutamente l’idea.

Lei ha collaborato con il noto regista Federico Fellini al soggetto e alla sceneggiatura del suo ultimo film La voce della luna. Il suo approccio alla scrittura romanzesca è diverso da quello alla sceneggiatura?

L’approccio è completamente diverso: fare una sceneggiatura significa mettersi al servizio di un regista che trasforma tutto in immagini e dove le parole sono parole dette “in bocca” quindi non ci sono tutte le descrizioni e le parti di cattura del lettore. Lavorare a una sceneggiatura è quindi un lavoro di servizio, scrivere un libro significa parlare con il lettore.

In un passo del libro Lei scrive che il cambiamento è stato tale che nessuno si accorgesse di niente mentre tutto stava cambiando. Crede che questo cambiamento nella società odierna sia già iniziato?

Questo succede tutti i giorni, anche nella vita delle singole persone: oggi ognuno di noi potrebbe aver compiuto un’azione all’apparenza insignificante che magari si potrebbe rivelare decisiva sotto qualche aspetto. I fatti che devono accadere iniziano senza che uno si renda conto che stanno iniziando.

 

Testo di Enrico Casagrande e Marco Eusebio

(Foto di Enrico Casagrande)

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