Abbiamo fatto una gran perdita

Francesco Targhetta ha presentato ieri sera a Ca’ dei Ricchi l’esordio in prosa di Alberto Cellotto, Abbiamo fatto una gran perdita, edito nel febbraio di quest’anno. Il poeta, scrittore e traduttore trevigiano ha raccontato, per la prima volta dalla pubblicazione, il suo libro epistolare, che narra il viaggio di Martino per diverse località italiane.
L’esperienza si trasforma in un assedio della memoria in cui il protagonista, riflettendo su passato e presente, sente la necessità di scrivere alcune lettere, che non invierà mai.

 

 

Prima dell’evento abbiamo fatto una breve intervista all’autore.

CartaCarbone è un festival letterario autobiografico, eravamo quindi curiose di sapere se ci sono caratteristiche comuni a lei e a Martino, il protagonista del suo ultimo libro.
Sicuramente ci sono delle parti che gli presto, come il pensiero, soprattutto nelle digressioni. È un personaggio che, come me, crede molto nella relazione uno a uno, piuttosto che nella comunicazione a molti. È un libro di lettere che rispecchia anche la mia passione nel leggere opere epistolari. Inoltre, Martino imbratta tavole, attività in cui mi diletto anch’io.

Perché, nel suo ultimo lavoro, ha deciso di passare dalla poesia alla prosa? E perché la scelta di un libro epistolare?
La prosa è stata una necessità, poiché è una forma di scrittura che mi permette di mettere sulla carta determinati pensieri in maniera più rapida e immediata. Nella mia testa non aveva le sembianze di un classico romanzo, anche perché non penso che sarei in grado di scriverlo.
Ho scelto di raccontare in prima persona perché volevo una brusca conclusione, in cui il narratore tradisse il patto con il lettore, e l’unico modo per farlo era tramite le lettere.
Proprio le lettere sono uno stratagemma che ho utilizzato per esprimere la spontaneità e il desiderio improvviso del protagonista di raccontarsi e di confessare i suoi pensieri, motivo per cui questo flusso di riflessioni non poteva essere trasmesso tramite e-mail.

Abbiamo letto che ha curato anche diverse traduzioni. Nel passaggio da una lingua all’altra sente di dare vita a nuove opere?
Si, inevitabilmente. Come quando si riscrive un libro, ci si sente una grande responsabilità addosso. Purtroppo però, quando l’editore ti propone una traduzione concede poco tempo, causando spesso un lavoro mediocre.

 

Testo e foto di Chiara Marengo e Chiara Spilotros

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