Cos’è la scrittura autobiografica?

 

È così importante riflettere su se stessi, vestire l’habitus autobiografico?

 

Frenetici e smemorati, camminiamo come funamboli sul filo della nostra vita, riflettendo poco, con scarsa voglia, con troppa trascuratezza. Invece, dobbiamo pensare a quello che abbiamo fatto, che ci siamo lasciati dietro, che non abbiamo risolto e che avremmo potuto fare. Dobbiamo  pensare a noi perché quello che ci è successo, la vita che abbiamo vissuto, stabilirà millimetro per millimetro il metro di ogni scelta. Ci darà un posto nel mondo. E allora perché non darle più attenzione? Noi siamo le nostre storie. Ognuno di noi è un romanzo con due gambe, due braccia, occhi, naso, collo, pancia. Siamo corpi, in definitiva, con delle storie, un’anima di parole. Ed ognuna merita di essere raccontata.

E se raccontare la storia della nostra vita può sembrare un’impresa titanica, un viaggio lunghissimo e tortuoso, non dobbiamo scoraggiarci. Un viaggio è fatto di tante tappe. Scegliamone una e concentriamoci su quella. È un punto di partenza. Svisceriamola, frantumiamola, guardiamola al microscopio. Da un punto misterioso uscirà un universo.

 

Perché, come dice Elias Canetti,
chi comincia ad indagare su se stesso finisce per indagare su tutto“.

 

La scrittura autobiografica è un viaggio meraviglioso, un’autoformazione basata sul pensiero introspettivo.

Non esiste un metodo per insegnarla. Si possono solo cogliere suggestioni e andare in profondità. ‘Autobiografia’ è come dire ‘vita’. C’è un metodo che insegna a vivere?

Scrivere di sé è anche fatica, incognita, passione. È accettare di mettersi in gioco. È essere disposti a farsi guidare dall’emozione nuova che affiora di volta in volta, ad abbandonarsi alla sua imprevedibilità. Perché capita, ad esempio, che dal centro di un ricordo triste, all’improvviso, ne affiori uno diverso, dolce. Capita che venga alla luce un seme dimenticato la cui percezione ci dà una gioia indefinita, ci rende in quell’istante invincibili,  una magia che ci rende capaci di sigillare con un sorriso anche una tragedia. Succede durante i corsi di scrittura autobiografica, che non sono solo un momento individuale ma anche collettivo.

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Ecco, solo così riesco ad immaginare la scrittura di sé: un’officina, un cantiere dove tutto è sempre in divenire. L’importante è che disordini, scompigli, rimescoli, e anche discerna e riordini qualcosa, che porti a galla involontariamente un cestino con dentro almeno un dolcetto al burro, magari una di quelle saporite madeleine proustiane che, sole, potrebbero rappresentare il simbolo del pensiero autobiografico.

 

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